Profumi
Il circo dei regali tutti gli anni incombe per Natale. Lascia poco spazio al piacere e molto a corse, affanni e assembramenti. Quest’anno si aggiungerebbero gomitate dati i tempi ristretti, ma le regole sanitarie non lo permettono costringendoci a gentilezza forzata. Nelle finestre temporali anguste il mercato ci chiamano all’urgenza di concentrare il massimo della spesa nel minimo tempo. Potremmo approfittare dell’occasione “quest’anno è andata così, facciamo a meno!...”, ma temo che pochi riusciranno a resistere alle sirene.
Un rito divenuto dovere, un obbligo da assolvere, una convenzione sociale che poco rappresenta e comunica di noi; come l’offerta al re di un tempo (regalo è un termine spagnolo anticamente riferito ai doni dei sudditi). Per i non monarchici l’offerta è rivolta a familiari, amici, colleghi; non solo quelli simpatici, anche capiufficio e personaggi importanti della nostra cerchia. Guai a non portare un regalo se si va a casa di qualcuno, soprattutto nei giorni di festa. Se si porta qualcosa siamo invece a posto con la coscienza, non abbiamo fatto una brutta figura. Niente importa se il regalo sarà istantaneamente dimenticato e nella maggioranza dei casi rifilato altrove.
Manca in tutto ciò qualcosa di fondamentale che è invece l’essenza del dono, di cui l’oggetto regalato rimane scheletro, icona di cui si è perso il significato e la sostanza.
Come di un bacio sono scheletri quei bacetti formali, dove solo le gote si avvicinano tra loro e l’accenno di schiocco anche se prolungato in linea retta sfiorerebbe l’altro tangenzialmente, allontanandosi, senza alcuna promessa di vicinanza presente o futura.
Come di un augurio è scheletro l’espressione “Tante cose a lei e alla signora”, che non dice nulla di personale (nulla in assoluto in realtà), ma permette di non sbilanciarsi, evitando prudentemente di esporci, nell’allusa illusione di sottintendere chissà che.
Sono questi regali in sottrazione. Ciò che manca siamo noi.
Il donare è un atto di relazione che solo in essa può contenere un oggetto-regalo significante. Un regalo da solo è destinato alla pattumiera dei nostri rapporti umani. Perché donare crea legami: offro qualcosa di me in un tempo dedicato, un pensiero che è divenuto impegno e si è concretizzato in un gesto, con o senza oggetto fisico che lo rappresenti: Sei nella mia mente, in qualche posto nel mio cuore e a questa tua presenza in me ho dedicato tempo e idee. Non è tangente ma orbita convergente, magari a rischio di impatto (tu sei nella mia mente ma io potrei non essere nella tua); non è per non fare (brutta figura), ma per fare (qualcosa cosa che è nella specificità del rapporto).
Donando non ci si nasconde.
Balocchi
Solo con i bambini la relazione è in genere meno tangenziale, maggiore l’intenzione di raggiungerli, anche se non scevra del rischio di essere parallela e pur essa di non incontrarsi mai. Dicono gli oracoli del commercio che quest’anno si regalerà meno ma si cercherà comunque di non far mancare ai bambini la loro dose. Dose di ché?
Anzitutto c’è poi la quota di regali utili. La tutina sotto l’albero, impara presto il bambino, è il consueto pegno da pagare per raggiungere gli altri pacchi più interessanti; durano giusto il tempo dello scarto (nel senso sia di eliminazione rapida che del tempo necessario a farli uscire dall’involucro e andare oltre).
Ci sono poi i giochi. Se corrispondono ai gusti il bambino li “scarta” una sola volta. Però anch’essi non sempre sono disinteressati, ma utilitaristici (un profumo per l’adulto): quando è così non consegniamo il giocattolo ai bambini ma i bambini a “giocattoli babysitter” e ce li immaginiamo buoni col loro balocco a giocare in autonomia, così stanno un po’ tranquilli e ci lasciano respirare. Speranza fatalmente frustrata perché l’autonomia dei bambini è limitata, in modo inversamente proporzionale all’età. Solo i giochi tecnologici (in particolare videogiochi e dintorni) permettono di superare i tempi fisiologici di attenzione e dare una parvenza di autonomia, ma è frutto della forza attrattiva fagocitante tipica di tali strumenti. Attenzione! è un doping dannoso che in realtà avviluppa, ferma i movimenti, chiude alle relazioni.
Sottratti i regali utilitaristici e quelli utili resta ancora in noi adulti spazio per un dono che riconfermi il legame affettivo in una esperienza di incontro?
I bambini vivono nella relazione sempre; in essa crescono, costruiscono se stessi, apprendono le capacità che saranno necessarie poi per affrontare la vita in autonomia. In questo percorso non possono o non dovrebbero essere lasciati soli.
Se recuperiamo il senso relazionale e comunicativo del dono-regalo noi adulti non possiamo sottrarci. Il bambino, più che del balocco, ha soprattutto bisogno di giocare con qualcuno: i familiari prima e altri poi. È una propedeuticità nei fatti: la vita si allarga dalle figure di accudimento verso le altre relazioni.
In queste festività gli altri (la vicinanza relazionale fisica e sensoriale) sono drasticamente limitati dai DPCM e lo sono stati in tutto l’ultimo anno di emergenza pandemica. Facciamo un po’ di conti: per un bambino di 2 anni 1 di semi isolamento costituisce la metà della sua intera esistenza. Il 50% della vita, che cala al 33% a 3 anni, al 25% a 4. Cavolo! Molti profumi e pochi balocchi per decine di migliaia di bambini. O nelle relazioni più prossime famiglia la proporzione si è invertita con un surplus di contatto fisico ed emozionale oppure nulla! Nel frattempo in questo anno l’evoluzione psicobiologica non si è fermata; il cervello dei bambini, in rapida crescita, si è abbeverato alle esperienze fatte ed adeguato a esse; è il suo compito che ha svolto egregiamente calibrandosi sulla realtà dei fatti per attrezzarsi a far fronte a un mondo socialmente distanziato. Su questa taratura affrontare le esperienze successive di una vita prevista pandemica. Dovrà ricredersi il cervello se la vita futura vorrà essere anche di prossimità e fiducia. Con queste premesse elevato è il rischio di zoppia permanente nella relazione con l’altro.
In zona rossa i centri commerciali sono (finalmente) chiusi
Ma i giochi non sono fatti una volta per tutte: il cervello è duttile e nei bambini apprende ancora rapidamente. A noi adulti la responsabilità di contribuirvi in modo adeguato e l’opportunità questo Natale di fermarci a scambiare doni. Cerchiamo di concederci quindi una esperienza relazionale piena e profonda, fatta di balocchi, attenzione e tempo, soprattutto tempo: un tempo dedicato non frettoloso, partecipato in una gratificazione condivisa, nel quale starci dentro con emozioni, gesti, sguardi, espressioni e sensazioni corporee. Una sosta salutare anche per l’ansia pandemica.
Con queste premesse scegliamo così giochi da fare insieme e non per far giocare i bambini. Senza spirito sacrificale, ché non funzionerebbe, consideriamo anche i nostri gusti per poter partecipare non distrattamente ma divertendoci. E per una volta evitiamo giochi tecnologici che incentiverebbero l’isolamento già pericolosamente stimolato dalla pandemia.
* Chi ha passato i 50 anni forse ricorderà ancora di non aver potuto scansare una canzone che giungeva periodicamente ad ammorbare l’umore. “Profumi e balocchi”, scritta tra le due guerre e riciclata nel tempo da vari artisti. parla di infanzia abbandonata, di bambini lasciati soli, privati di attenzione e balocchi e destinati di conseguenza a fatale deperimento, consunzione e morte. Aldilà delle venature morali e sessiste del testo, comunica un fastidio ancora attuale: in un tempo in cui i non luoghi dei centri commerciali sono le piazze di non incontro della vita quotidiana, la luce delle vetrine eclissa i bisogni di fondo dei bambini. Che sono di tutti. Oggi la morte è inaridimento relazionale, rischio concreto per adulti e bambini, prima e dopo il Covid.
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